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› Telefisco 2022, le risposte del MEF in materia di tributi locali
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Telefisco 2022, le risposte del MEF in materia di tributi locali
31/01/2022
Pubblichiamo i chiarimenti forniti dal MEF ai quesiti posti in materia di tributi locali in occasione di Telefisco 2022.
1 – IMU doppie abitazioni: scelta e anni pregressi
La legge 215/2021, di conversione del Dl 146/2021, ha risolto la questione delle doppie abitazioni dei coniugi residenti in Comuni diversi consentendo di scegliere l’immobile al quale applicare l’esonero dall’Imu. Poiché dalla norma non si evince con quali modalità i “componenti del nucleo familiare” dovranno effettuare la scelta, si chiede di chiarire se è necessario presentare l’apposita dichiarazione oppure se può ritenersi sufficiente una semplice comunicazione, e in quale maniera risolvere l’eventuale caso di dissidenza tra i componenti del nucleo familiare. Inoltre, non avendo la disposizione efficacia retroattiva, si chiede se i Comuni possono accertare le annualità pregresse senza applicare le sanzioni per obiettiva incertezza della norma tributaria (articolo 10, legge 212/2000), configurabile anche nel caso in cui l’amministrazione finanziaria abbia chiarito i dubbi con una circolare ministeriale (Cassazione 10126/2019).
Risposta
Giova ricordare che l’articolo 5-decies, comma 1, del Dl 146/2021, convertito, con modificazioni, dalla legge 215/2021 , prevede che «All’articolo 1, comma 741, lettera b), della legge 27 dicembre 2019, n. 160, al secondo periodo, dopo le parole: «situati nel territorio comunale» sono inserite le seguenti: «o in comuni diversi» e sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «scelto dai componenti del nucleo familiare».
Di conseguenza, per effetto di tale intervento normativo, per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale o in Comuni diversi, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile, scelto dai componenti del nucleo familiare. In merito all’individuazione dell’immobile scelto dai componenti del nucleo familiare ai fini dell’esenzione dall’Imu, si ritiene che per lo stesso gravi in capo al soggetto passivo l’obbligo di presentazione della dichiarazione Imu, come del resto già puntualizzato nelle istruzioni alla dichiarazione Imu di cui al Dm 30 ottobre 2012 nella parte relativa al focus «Abitazione principale» di pagina 5 delle citate istruzioni, in cui è possibile rinvenire indicazioni che possono ritenersi valide anche per la fattispecie in esame. Occorre evidenziare, infatti, che in siffatta ipotesi la permanenza dell’obbligo dichiarativo in argomento si fonda sul presupposto che il Comune non è comunque in possesso delle informazioni necessarie per verificare il corretto adempimento dell’obbligazione tributaria. Nello specifico per la compilazione del modello dichiarativo il contribuente deve barrare il campo 15 relativo alla “Esenzione” e riportare nello spazio dedicato alle “Annotazioni” la seguente frase: «Abitazione principale scelta dal nucleo familiare ex articolo 1, comma 741, lettera b), della legge n. 160 del 2019».
In ordine poi alla richiesta circa la maniera di risolvere l’eventuale caso di dissidenza tra i componenti del nucleo familiare, non può che rimandarsi alle decisioni del Comune in quanto soggetto attivo del tributo. Per quanto riguarda la richiesta relativa alla possibilità di accertamento delle annualità pregresse senza applicazione «delle sanzioni per obiettiva incertezza della norma tributaria (articolo 10 legge 212/2000), configurabile anche nel caso in cui l’amministrazione finanziaria abbia chiarito i dubbi con una circolare ministeriale (Cassazione n. 10126/2019)», si ritiene che la stessa possa essere accolta positivamente alla luce delle seguenti considerazioni.
Innanzitutto dal punto di vista normativo, l’articolo 10, comma 3, della legge 212/2000 chiarisce che: «Le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma […]».
Sulla portata di tale disposizione si è espressa anche la Corte di cassazione con la sentenza n. 10126 dell’11 aprile 2019, in cui ribadisce che: «In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, la Corte ha già avuto modo di affermare il principio di diritto in virtù del quale: «l’incertezza normativa oggettiva che – ai sensi del Dlgs 546/1992, articolo 8; del Dlgs 472/1997, articolo 6, comma 2; della legge 212/2000, articolo 10, comma 3 – costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, richiede una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (cfr. Cass. 28/11/2007, n. 24670; 16/02/2012, n. 2192; 26/10/2012, n. 18434; 11/02/2013, n. 3245; 22/02/2013, n. 4522)».
Per meglio chiarire tale principio, la medesima Corte puntualizza che: «In altre parole, come è stato detto, “l’incertezza normativa oggettiva tributaria”, che consente di non applicare le sanzioni, «è la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sè ed accertala dal giudice, di individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie ultima o, se si tratta del giudice di legittimità, del fatto di genere già categorizzato dal giudice di merito», quindi in “senso oggettivo” (con conseguente esclusione di «qualsiasi rilevanza sia delle condizioni soggettive individuali sia delle condizioni soggettive categoriali» atteso che «l’incertezza normativa, in quanto esiste in sè, opera nei confronti di tutti»): «l’incertezza normativa oggettiva», pertanto, «non ha il suo fondamento nell’ignoranza giustificata, ma nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria» (Cassazione 19638/2009). E ciò è quanto avvenuto con la disposizione in esame, la quale nel corso degli anni ha subito diverse interpretazioni proprio a opera della Suprema corte, che hanno portato anche a decisioni di contenuto diametralmente opposto, a dimostrazione della «incertezza normativa oggettiva», nell’accezione richiesta dalla medesima Corte, vale dire «una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa».
2 – Esenzioni Covid-19: ditta e bene fuori dal libro cespiti
Le esenzioni Imu, disposte dal legislatore per contenere i disagi generati dai provvedimenti governativi finalizzati a contrastare i contagi da Covid-19, sono applicate agli immobili rientranti nella categoria catastale D/2 e relative pertinenze, a quelli degli agriturismi, dei villaggi turistici, degli ostelli della gioventù, dei rifugi di montagna, delle colonie marine e montane, degli affittacamere per brevi soggiorni, delle case e appartamenti per vacanze, dei bed and breakfast, dei residence e dei campeggi, purché il soggetto passivo sia gestore dei medesimi e vi eserciti la propria attività. Si chiede se in caso di immobile utilizzato per l’attività di una ditta individuale, l’agevolazione spetti anche se il fabbricato non è iscritto al libro cespiti della ditta medesima.
Risposta
Il regime delle esenzioni dall’Imu disposte per far fronte all’emergenza epidemiologica da Covid-19 richiede unicamente, per poter fruire delle stesse, il rispetto della condizione per cui i soggetti passivi siano anche gestori delle attività esercitate negli immobili per i quali si chiede il beneficio.
Di conseguenza, si ritiene che nel caso in esame possa essere riconosciuta l’agevolazione, dal momento che l’iscrizione del fabbricato nel libro cespiti della ditta non è un requisito richiesto dai vari provvedimenti normativi e, quindi, non è rilevante ai fini agevolativi.
3 – Tari – Tariffe in caso di mancata pubblicazione nei termini
In base al Dl 201/2011, articolo 15-ter, a decorrere dall’anno di imposta 2020, le delibere e i regolamenti concernenti i tributi comunali diversi dall’imposta di soggiorno, dall’addizionale comunale all’imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef), dall’imposta municipale propria (Imu) e dal tributo per i servizi indivisibili (Tasi) acquistano efficacia dalla data della pubblicazione effettuata ai sensi del comma 15, a condizione che detta pubblicazione avvenga entro il 28 ottobre dell’anno a cui la delibera o il regolamento si riferisce; a tal fine, il Comune è tenuto a effettuare l’invio telematico di cui al comma 15 entro il termine perentorio del 14 ottobre dello stesso anno. I versamenti dei tributi diversi dall’imposta di soggiorno, dall’addizionale comunale all’Irpef, dall’Imu e dalla Tasi la cui scadenza è fissata dal Comune prima del 1° dicembre di ciascun anno devono essere effettuati sulla base degli atti applicabili per l’anno precedente. I versamenti dei medesimi tributi la cui scadenza è fissata dal comune in data successiva al 1° dicembre di ciascun anno devono essere effettuati sulla base degli atti pubblicati entro il 28 ottobre, a saldo dell’imposta dovuta per l’intero anno, con eventuale conguaglio su quanto già versato. In caso di mancata pubblicazione entro il termine del 28 ottobre, si applicano gli atti adottati per l’anno precedente. In caso di pubblicazione delle delibere oltre il termine del 28 ottobre e conseguente efficacia delle nuove tariffe posta al 1° gennaio dell’anno successivo, quali sono le tariffe che trovano applicazione nell’anno successivo in sede di acconto con scadenza posta prima del 1° dicembre? L’applicazione del comma 169 dell’articolo 1 della legge 296/2006 assume a riferimento le tariffe applicate nell’anno precedente o quelle ad efficacia differita all’anno successivo a causa della tardiva pubblicazione?
Risposta
In caso di pubblicazione delle tariffe della Tari oltre il termine 28 ottobre dell’anno cui le stesse si riferiscono, le tariffe medesime non devono essere prese in considerazione ai fini del versamento delle rate relative al tributo dovuto per l’anno successivo la cui scadenza è fissata prima del 1° dicembre. Tali tariffe pubblicate tardivamente sono infatti applicabili nell’anno successivo – in sede di versamento a conguaglio per le rate successive al 1° dicembre – solo ove non intervenga, entro il 28 ottobre dello stesso anno, la pubblicazione di una diversa delibera adottata nei termini di cui all’articolo 1, comma 169, della legge 296/2006. Le rate di acconto dell’anno successivo a quello cui si riferiva la delibera pubblicata tardivamente devono, invece, essere versate sulla base delle tariffe applicabili nel medesimo anno cui si riferiva la delibera pubblicata tardivamente, vale a dire quelle adottate per l’anno precedente. Se, ad esempio, la delibera relativa all’anno 2021 viene pubblicata oltre il 28 ottobre 2021, le rate di acconto per l’anno 2022 devono essere versate sulla base delle tariffe applicabili nell’anno 2021, vale a dire quelle adottate per l’anno 2020. Tale soluzione, oltre ad essere aderente al disposto del secondo periodo del comma 15-ter dell’articolo 13 del Dl 201/2011, è tanto più fondata se si considera che le tariffe pubblicate tardivamente sono destinate con ogni probabilità – data la natura del tributo in questione, tramite il quale deve essere assicurata la copertura dei costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti riferibili a ciascun anno – ad essere superate da una nuova delibera adottata per l’anno successivo.Se nell’anno successivo a quello cui si riferiva la delibera di determinazione delle tariffe della Tari pubblicata tardivamente non viene adottata alcuna delibera o viene adottata una delibera oltre il termine di approvazione del bilancio di previsione, con conseguente inapplicabilità della stessa in virtù dell’articolo 1, comma 169, della legge 296/2006, le tariffe applicabili sono quelle di cui alla delibera adottata per l’anno precedente e pubblicata tardivamente. Se, ad esempio, la delibera relativa all’anno 2021 viene pubblicata oltre il 28 ottobre 2021 e la delibera per l’anno 2022 non viene approvata o viene approvata ma oltre il termine di approvazione del bilancio, le tariffe applicabili per l’anno 2022 sono quelle di cui alla delibera adottata per l’anno 2021 e pubblicata tardivamente.
4 – Canone unico – Pubbliche affissioni, sì al diritto d’urgenza
Il canone unico patrimoniale prevede che l’importo da richiedere all’utente sia comprensivo di tutti gli oneri relativi all’autorizzazione/concessione rilasciata o, comunque al servizio reso dall’ente. In tema di affissioni si chiede se possa essere ancora richiesta una somma qualificabile come “diritto d’urgenza” o se sia necessario prevedere uno specifico canone unico, di maggior importo, per le fattispecie che prima erano assoggettate a tale diritto.
Risposta
Nel caso in cui il Comune scelga di istituire il servizio sulle pubbliche affissioni, la cui istituzione non è più obbligatoria a norma dell’articolo 1, comma 836 della legge 160/2019, lo stesso può senz’altro prevedere un diritto d’urgenza, sulla scorta del fatto che trattandosi di un canone patrimoniale l’ente locale ha ampia autonomia regolamentare.
5 – Cup nei centri abitati: i rapporti Comuni-Province
Il canone unico patrimoniale è stato oggetto di contrasti fra Comuni e Province, stante la formulazione del comma 818 e del comma 837, che considerano aree comunali i tratti di strada situati all’interno di centri abitati con popolazione superiore a 10.000 abitanti, di cui all’articolo 2, comma 7, del Codice della strada, Dlgs 285/1992; secondo gli enti provinciali, quindi, il canone unico sarebbe di loro competenza anche nei Comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti, se il centro abitato ha una popolazione che non supera tale valore. Tale interpretazione, pur sostenuta dal Mef in occasione di uno specifico quesito posto dal Comune di Montepulciano, si pone in contrasto con quanto affermato nel corso di Telefisco2021.
Risposta
Come affermato nei chiarimenti forniti al Comune di Montepulciano, relativamente a entrambi i canoni, vale a dire quello di cui all’articolo 1, comma 816 della legge 160/2019, e l’altro di cui al successivo comma 837, risulta che i tratti di strada che attraversano centri abitati con popolazione superiore a 10.000 abitanti sono considerati comunali, mentre quelli che attraversano centri abitati con popolazione non superiore a 10.000 abitanti non possono considerarsi facenti parte del territorio comunale.
Ne consegue che, nel caso di diffusione di un messaggio pubblicitario su un tratto di strada che attraversa un centro abitato con popolazione superiore a 10.000 abitanti, il gettito del canone spetta solamente al Comune in base al comma 819, lettera b), mentre la provincia non è legittimata a imporre il canone per l’occupazione del suolo, posto che il tratto di strada è di competenza comunale, fermo restando che in caso di diffusione di messaggio pubblicitario resta esclusa la possibilità di richiedere il canone per la fattispecie di occupazione.
Nel caso inverso, vale a dire di diffusione di un messaggio pubblicitario su un tratto di strada che attraversa un centro abitato con popolazione non superiore a 10.000 abitanti, e quindi di competenza della provincia, quest’ultimo ente è legittimato a chiedere il versamento del canone per l’occupazione del suolo, a norma del comma 819, lettera a). In ordine, infine, alla contraddizione rispetto a quanto affermato in Telefisco 2021, si fa presente che la risposta al quesito di Montepulciano così come quella odierna costituiscono una migliore e più chiara contestualizzazione dei casi che sono stati meglio descritti nei quesiti collegati a tali risposte.
6 – Occupazione e servizi in rete
L’articolo 5, comma 14-quinquies, del Dl 146/2021, reca disposizioni interpretative del comma 831 della legge 160/2019. In particolare, alla lettera a), si chiarisce che le società titolari dei contratti di vendita del bene distribuito alla clientela finale non possono considerarsi soggetti che occupano, neanche in via mediata, e per tale motivo non sono tenute al pagamento del canone unico. Il canone sarebbe quindi dovuto dai soggetti che risultano concessionari delle infrastrutture e la quantificazione del canone deve essere effettuata «in base alle utenze delle predette società di vendita», le quali, quindi, sarebbero tenute a comunicare al concessionario il numero delle utenze.
La successiva lettera b) considera l’ipotesi di occupazioni di suolo con impianti funzionali all’erogazione dei servizi, come quelli relativi alla trasmissione di energia elettrica e il trasporto di gas naturale. In questo caso è dovuto il canone in misura fissa pari ad euro 800.
Dall’articolato normativo sembra che l’ipotesi a) si verifichi solo nelle ipotesi di infrastrutture per le quali è prevista la separazione tra la titolarità delle infrastrutture e la titolarità dei contratti di vendita, mentre l’ipotesi b) si verificherebbe nelle altre tipologie di occupazioni, come i gasdotti o le reti di trasmissione e dispacciamento dell’energia elettrica. Si chiede conferma della lettura proposta.
Risposta
Occorre preliminarmente affermare che il comma 831 dell’articolo 1, della legge 160/2019 riguarda tutte le tipologie di occupazioni effettuate con cavi e condutture per la fornitura di servizi di pubblica utilità e non solo quelle in cui esiste una separazione tra i soggetti titolari delle infrastrutture ed i soggetti titolari del contratto di vendita del bene distribuito alla clientela finale. E invero l’articolo 5, comma 14-quinquies del Dl 146/2021, ha inteso chiarire che nelle ipotesi in cui sussiste una netta separazione legislativa, regolamentare o contrattuale tra soggetti titolari delle infrastrutture e soggetti titolari del contratto di somministrazione del bene distribuito per il tramite delle infrastrutture stesse, il canone resta dovuto esclusivamente da parte del soggetto titolare della rete, tenendo conto del numero delle utenze attivate dagli operatori che svolgono solo l’attività di vendita. La successiva lettera b), invece, in linea con quanto stabilito ai fini della Tosap e del Cosap, ha precisato che la disciplina del canone unico è applicabile anche alle occupazioni effettuate da imprese che svolgono attività strumentali e accessorie all’erogazione dei servizi a rete (tra le quali la trasmissione di energia elettrica ed il trasporto di gas naturale dal produttore al distributore finale) tenendo conto della sostanziale “unitarietà” della filiera. Pertanto, per tali imprese, che non hanno alcun rapporto diretto con l’utente finale, viene confermata la debenza del canone in misura fissa pari a euro 800, stabilita per coloro che hanno un numero di utenze inferiore alla soglia.
7 – Servizi di affissione, così la pubblicazione
Per effetto dell’abrogazione dell’articolo 18 del Dlgs 507/93, ad opera del comma 836 dell’articolo 1 della legge 160/2019, i Comuni possono ritenere completamente soppresso il servizio di affissione a cura del Comune, oppure occorre l’adozione di un’espressa deliberazione? È sufficiente garantire l’affissione diretta da parte degli interessati delle affissioni cosiddette garantite?
Risposta
Il Comune, a norma dell’articolo 1, comma 836 della legge 160/2019, non ha l’obbligo di istituire il servizio delle pubbliche affissioni e, pertanto, non occorre alcuna delibera in tal senso. Se sceglie di non procedere all’istituzione del servizio, deve rispettare l’obbligo, previsto da leggi o da regolamenti, di affissione da parte delle pubbliche amministrazioni di manifesti contenenti comunicazioni istituzionali mediante la pubblicazione nei rispettivi siti internet istituzionali. Deve, inoltre, garantire l’affissione da parte degli interessati di manifesti contenenti comunicazioni aventi finalità sociali, comunque prive di rilevanza economica, mettendo a disposizione un congruo numero di impianti a tal fine destinati.
8 – La componente pubblicitaria del canone
In ragione dei numerosi contenziosi insorti nel corso del 2021 sulla componente pubblicitaria del canone unico per la diffusione dei messaggi pubblicitari, si chiede di conoscere l’orientamento ministeriale in ordine alla natura giuridica della componente pubblicitaria del canone.
Risposta
L’articolo 1, comma 816, della legge 160/2019 introduce, in sostituzione di diverse entrate, un canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria. Pertanto, stante la chiara formulazione utilizzata dal legislatore, unita al fatto che all’interno della normativa che regolamenta il canone in questione non si rinvengono elementi tali da far considerare diversa la natura giuridica della fattispecie di diffusione di messaggi pubblicitari, si deve concludere per la natura patrimoniale di entrambe le componenti del canone.
9 – Regole sul versamento decise dai Comuni
In base al comma 823 dell’articolo 1 della legge 160/2019, il canone è dovuto dal titolare dell’autorizzazione o della concessione, ovvero, in mancanza, dal soggetto che effettua l’occupazione o la diffusione dei messaggi pubblicitari in maniera abusiva. In base al comma 835, il versamento del canone è effettuato direttamente agli enti, contestualmente al rilascio della concessione o dell’autorizzazione all’occupazione o alla diffusione dei messaggi pubblicitari. Si chiede se il Comune possa, nell’esercizio della potestà regolamentare, modificare la previsione del comma 835 rinviando il versamento del canone successivamente al rilascio del titolo di autorizzazione o concessione.
Risposta
Considerata la natura patrimoniale del canone, si ritiene che l’ente locale possa regolamentare la materia della riscossione diversamente rispetto a quanto prescritto dall’articolo 1, comma 835 della legge 160/2019. Del resto, anche relativamente alle proprie entrate tributarie l’ente ha ampia autonomia regolamentare in materia di riscossione.
10 – Sanzioni per insegne abusive inferiori a 5 mq
Nel caso di insegna di esercizio collocata abusivamente, ma inferiore a 5 mq, quali sono le sanzioni da applicare in base all’articolo 1, comma 821, della legge 160/2019?
Risposta
Poiché le insegne di esercizio inferiori a 5 mq sono esenti dal versamento del canone, in base all’articolo 1, comma 833, lettera l), della legge 160/2019, non è possibile richiedere il versamento dell’indennità di cui al comma 821, lettera g). Non può essere parimenti applicata la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dalla successiva lettera h), in quanto anch’essa collegata all’entità del canone e della citata indennità, ma possono essere applicate le sanzioni di cui agli articoli 20 e 23 del Codice della strada, nonché gli oneri previsti per la rimozione e la copertura del mezzo pubblicitario abusivo previsti dal successivo comma 822 dell’articolo 1 della legge 160/2019.
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