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› No all’accollo del debito della società partecipata in liquidazione
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No all’accollo del debito della società partecipata in liquidazione
21/06/2022
Con la
deliberazione n. 67/2022
, la Corte dei conti, Sez. Emilia-Romagna, affronta il tema dei rapporti finanziari tra le società pubbliche e gli enti partecipanti. Nel caso di specie, il Comune istante chiede se un ente locale, che dispone di apposito accantonamento ai sensi dell’art. 21 del TUSP, possa accollarsi i debiti di una propria società interamente partecipata in liquidazione, nell’intento di tutelare l’interesse pubblico caratterizzato dalla continuità dello svolgimento di un evento caratterizzante in modo peculiare e infungibile l’intera città e l’economia territoriale.
La Sezione ricorda, preliminarmente, che il codice civile agli articoli 2325 e 2462, riguardanti rispettivamente le s.p.a. e le s.r.l., applicabili anche alle società partecipate pubbliche, prevede che delle obbligazioni sociali rispondono solamente le società di capitali con il loro patrimonio, essendo, peraltro, eccezionali i casi in cui si può delineare la responsabilità illimitata del socio unico (ipotesi contemplate nel secondo comma di entrambe le norme appena menzionate, nonché nel caso del soggetto che esercita l’attività di direzione e coordinamento di cui all’art. 2497 e ss. cod. civ.). Da ciò si desume che anche il socio pubblico, al pari, pertanto, di ogni altro socio di società di capitali, risponde delle obbligazioni sociali nei limiti della propria quota di partecipazione al predetto capitale sociale, a meno che non sia esposto direttamente nei confronti dei creditori sociali e salva una eventuale normativa derogatoria.
L’assetto normativo delineato, invece, dagli artt. 14, c. 5 e 21 del TUSP pone dei limiti all’intervento finanziario delle amministrazioni partecipanti qualora la società partecipata registri per tre esercizi consecutivi perdite di esercizio o abbia utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali, salva la ricorrenza delle condizioni derogatorie che, per contro, tale intervento consentano ed è previsto l’accantonamento di appositi fondi, da parte del socio, in caso di risultato di esercizio negativo della partecipata; accantonamenti che vengono liberati nel caso in cui, in particolare, l’ente dismetta la partecipazione o il soggetto partecipato sia posto in liquidazione (art. 21). Peraltro, le norme in argomento sono chiaramente finalizzate alla dinamica salvaguardia degli equilibri finanziari ma non comportano l’automatico obbligo di ripiano delle perdite o l’assunzione dei debiti della partecipata, poiché gli accantonamenti ex art. 21 Tusp non hanno eliso i limiti al soccorso finanziario, né la necessità della dimostrazione da parte del socio, in caso di soccorso finanziario, della sussistenza di un particolare interesse a coltivare la società partecipata, sotteso, in particolare, alla capacità della stessa di ritornare in bonis. Con riguardo, pertanto, all’accollo di debiti già maturati da una società partecipata con riferimento alla quale la decisione dell’ente di dismissione della propria quota e di messa in liquidazione della stessa ha già dato evidenza dell’impossibilità di realizzazione della sua mission istitutiva, viene meno l’obbligo di accantonamento ex art. 21, attesa altresì l’impossibilità di continuità aziendale, e non può darsi luogo ad un soccorso finanziario, non ricorrendo le condizioni previste dall’art. 14 Tusp. La delibera sottolinea peraltro che l’eventuale decisione dell’ente di procedere al soccorso, pur non sussistendone i presupposti ex artt. 14, c. 5 e 21 Tusp, evidenzierebbe una palese intrinseca contraddizione rispetto alla precedente determinazione dismissiva (la cui importanza e centralità in ottica programmatoria è principio consolidato nella giurisprudenza contabile) che vizierebbe irrimediabilmente sotto il profilo funzionale e della legittimità il provvedimento di intervento finanziario.
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